Titolo italia: BOMBOM - EL PERRO
Regia: Carlos Sorin
Con: Juan Villegas, Walter Donado, Gregorio, Rosa Valsecchi, Mariela Díaz,
Sabino Morales, Claudina Fazzini.
Juan Villegas ha lavorato in una stazione di servizio, su una
strada deserta della Patagonia, durante gli ultimi vent’anni della
sua vita. La stazione petrolifera è stata venduta e i nuovi proprietari
intendono modernizzarla. Juan, come altri impiegati, è stato licenziato.
Mentre cerca un altro lavoro, prova a guadagnarsi da vivere con un vecchio
hobby: costruisce coltelli artigianali. Ma le cose non vanno bene. Non
riesce né a trovare lavoro, né a vendere alcun coltello.
Vive il dramma della disoccupazione nel modo più tragico: alla
sua età, e senza nessun genere di abilità, comincia a credere
che il mondo lo abbia rifiutato.
Il caso gli offre un piccolo lavoro, la riparazione di una vecchia automobile,
in una fattoria. La proprietaria è una vecchia signora, che ha
bisogno di vendere la macchina del suo defunto marito perché é
caduta in difficoltà economiche. Dopo che Juan ha terminato il
lavoro, gli offre di ricompensarlo con un cane – non un cane qualsiasi,
ma un fantastico esemplare di Dogo Argentino che suo marito aveva acquistato
con l’intenzione di avviare un allevamento di cani. Juan prova a
trattare, sottolineando come sia senza lavoro e il cane, viste le dimensioni,
richieda probabilmente di mangiare più di quanto egli possa offrirgli.
Ciononostante, la vedova insiste sostenendo che si tratta di un animale
di valore, che può essere un’ottima compagnia per qualcuno
che, come Juan, vive solo. In questo modo finisce per convincerlo. Da
questo momento la sorte, per Juan, comincia a cambiare.
Il cane, senza dubbio un bellissimo esemplare, è apprezzato da
chiunque lo veda, e Juan prova una certa soddisfazione sentendo come suoi
parte di quegli elogi, visto che ora è lui il padrone. Grazie al
cane riesce ad ottenere un lavoro provvisorio in un magazzino di lana
e persino il direttore della banca – un appassionato dei Dogo Argentini
– lo conduce nel suo ufficio quando egli va a riscuotere la propria
esigua liquidazione. Juan si rende presto conto di come il suo futuro
sia legato al cane e contatta Walter – un grande entusiasta –
che nel tempo libero prepara i cani per le esibizioni. Walter è
convinto che il valore del cane crescerà. Propone, allora, un accordo:
lui e Juan parteciperanno entrambi al 50% dei profitti ricavati.
Un lungo periodo di allenamento prima di partire, non solo per il cane
ma anche per Juan che, d’accordo con Walter, smetterà di
essere un disoccupato per diventare un “esibitore”. Alla prima
esibizione le cose vanno davvero bene e il cane conquista un onorevole
terzo premio. Viene organizzata una grande festa in un ristorante libanese,
dove Juan incontra una cantante araba che conquista le sue simpatie. Con
il cane e la cantante, Juan si sente al settimo cielo. Ma capirà
presto come l’istinto possa giocare brutti scherzi.
“BOMBÓN – EL PERRO” segue la scia del mio precedente
film, “Piccole storie”, perché anche in questo caso
lavoro con personaggi semplici, raccontando una storia minimalista e interpretata
da non-attori. Forse è semplicistico parlare di personaggi semplici.
In realtà non lo sono: il mondo interiore del più umile
contadino ecuadoregno è impenetrabile quanto quello di un professore
di filosofia. La differenza è che quest’ultimo riflette e
comunica principalmente con le parole, mentre il contadino, più
essenziale, con gesti e silenzi. Nel fare cinema ho sempre preferito l’azione
all’espressione verbale. Uno sguardo, un silenzio, il lampo di un
sorriso accennato in primo piano comunicano molto più di discorsi
retorici. Questo è ciò che accade con personaggi “semplici”:
devi leggere i loro occhi. Penso sia in questo che il cinema raccoglie
la straordinaria eredità della pittura. L’aspetto triste
di Filippo IV negli ultimi ritratti, realizzati da Velazquez, racconta
la tragedia di quel re più di tutti i volumi scritti al riguardo.
In “BOMBÓN – EL PERRO” sto lavorando di nuovo
con non-attori. È una scelta che deriva dall’esperienza nel
filmare persone reali, maturata durante la mia carriera di regista di
spot pubblicitari. E da come sono stato influenzato da numerosi film del
cinema indipendente contemporaneo, che lavora sull’incerto confine
fra fiction e documentario. In generale, sono attratto più dai
documentari che dalla fiction e più dalle biografie che dai romanzi.
Penso che lavorare con persone reali, luoghi reali e luci reali riduca
la manipolazione e la falsità che sono inevitabilmente implicite
nel cinema. Il cinema è un inganno allo stato puro. Quell’uomo
che corre non sta correndo. Sono immagini fisse proiettate con intervalli
di buio. Solo un difetto fisiologico – la persistenza retinica –
ci permette di vederli continuativamente, come un uomo che corre. Se il
sistema nervoso fosse perfetto il cinema non potrebbe esistere. Il cinema
è nato da un handicap fisico. Da questo punto di vista, tutto diventa
un’illusione. Le barche in quella battaglia navale non sono barche,
il principe non è un principe e gli amanti che si stanno baciando
non sono amanti nella vita reale (o almeno, non l’uno verso l’altro...).
D’altra parte, ciò che mi ha sempre affascinato dei documentari
– e specialmente delle scene drammatiche nei documentari di guerra
– è che niente e nessuno pretende di essere ciò che
non è. I documentari hanno la capacità di essere vicini
alla verità. Rimarrei stupito se fosse possibile raccontare una
storia di fiction che, come le grandi coperte a mosaico che le nonne erano
solite fabbricare con pezzi di materiali diversi, possa davvero essere
composta di parti di realtà. In cui ciò che appare, in generale,
“è” invece di “pretendere di essere”. Da
ciò deriva l’idea di lavorare con persone reali, ma ad una
condizione: essi non devono essere attori – perché sarebbero
per lo più dei cattivi attori – ma se stessi. Coloro che
interpretano i personaggi di “BOMBÓN – EL PERRO”
sono esattamente i personaggi stessi. Non in senso letterale – perché
hanno altre occupazioni e vivono in altri luoghi – ma nell’essenza,
nell’anima.
L’auspicio è che da questa sovrapposizione emergano momenti reali,
cose reali. Un esempio: il volto affascinato di Juan Villegas – il personaggio,
applaudito da quattrocento persone per aver vinto un trofeo a un’esibizione
di cani, dopo aver sempre vissuto da solo presso una stazione di servizio su una
strada isolata – risulta intenso e reale. Perché è lo stesso
volto affascinato di Juan Villegas – la persona, che nello stesso momento
è applaudito da quattrocento persone dopo aver passato gli ultimi vent’anni
parcheggiando automobili nella solitudine di un garage. La situazione è
differente ma il sentimento è lo stesso. Se la camera riesce a coglierlo
stiamo guardando un frammento di documentario, di realtà. Al termine dei
titoli, apparirà la classica frase che afferma: ”I personaggi e i
fatti mostrati sono opera di finzione. Ogni riferimento a fatti e persone reali
è puramente casuale”. Non bisogna credere a una parola di tutto ciò:
in questo film, né i personaggi né le situazioni sono di pura finzione,
e neppure le similitudini sono mere coincidenze.